Esce proprio per la Festa della donna l’ultimo libro di Michela Murgia, “Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più”, edito da Einaudi. E per la donna è scritto, per tutte quelle donne che non vogliono più sentire frasi in effetti inaccettabili, ma subite da secoli.
Michela Murgia non è una che subisce. Con la consueta modalità diretta cui ci ha abituato, ma con uno stile elegante e fresco, con questo saggio mette in luce soprusi linguistici che una tradizione pesante come un fardello eterno gravava sulle donne in modo irrevocabile.
Nel lungo e difficile cammino verso la libertà, l’uguaglianza, la parità, l’affermazione della propria personalità e della voglia di contare, tra gli infiniti ed enormi ostacoli che le donne ben conoscono, s’insinuano altri elementi, in apparenza leggeri, in realtà ben poco rispettosi della dignità e davvero lesivi.
Si tratta secondo la Murgia di continue micro aggressioni, capaci però di scavare un solco sempre profondo, che segna un confine poco consono alla parità di genere.
L’autrice analizza nove frasi specifiche, che, in effetti, qualunque donna può essersi sentita dire ( o può aver sentito indirizzare ad un’altra donna):
“Hai ragione ma sbagli i toni”.
“Come hai detto che ti chiami”.
“Io non sono maschilista”.
“Sei una donna con le palle”.
“Adesso ti spiego”.
“Era solo un complimento”
“Ormai siete dappertutto”.
“Brava e pure mamma”.
“Spaventi gli uomini”.
Cosa sono in realtà queste frasi, cosa nascondono?
La scrittrice va a mettere a fuoco quelle che sono ingiustizie di genere, per cui si dà per scontato che la donna, soprattutto se si esprime, se interviene sostenendo in modo forte le proprie posizioni, possa essere apostrofata in questo modo; si possa cioè interloquire con lei, utilizzando espressioni che celano, e nemmeno troppo bene, un desiderio di riduzione, o addirittura di offesa.
Se si guarda bene, dietro queste modalità, solo in apparenza banali, si nascondono stereotipi di genere, che vanno ad incrementare tutta una narrazione in negativo con cui le donne devono sempre fare i conti, narrazione che appesantisce il loro cammino di riscatto, lo rallenta con una continua richiesta di confermare le proprie abilità. Perché per le donne niente è mai scontato, devono dimostrare di essere brave e, se lo sono, meglio se sono anche mamme, meglio.
In una parola, di per se stesse, non valgono.
Ed anche la comunicazione ha la sua parte in questo bieco rimando alla eterna differenza con gli uomini. “Adesso ti spiego”, detto in un certo modo, non significa “aggiungo alcune informazioni e le confronto con le tue”, ma significa un “Io capisco e tu no”, imposto e dato per scontato.
Elegante e arguto, questo libro si legge d’un fiato e ci aiuta a vedere con più chiarezza le relazioni tra uomo e donna. L’apparente leggerezza serve alla Murgia per portare avanti un discorso in realtà profondo, fatto da lei e da chi come lei non può più accettare di annullare la propria femminilità per poter affermare delle evidenti capacità.
Il saggio, che si chiude con un atto di speranza, che cioè tra dieci anni un ragazzo o una ragazza che trovi il libro su una bancarella possa pensare che per fortuna quelle frasi non le dice più nessuno, è già molto noto.
D’altra parte Michela Murgia è una scrittrice già molto amata e letta.
Nel 2009 ha pubblicato con Einaudi “Accabadora”, tradotto in trenta lingue, con cui ha vinto il Premio Campiello. Da gennaio 2021 Michela Murgia cura L'Antitaliana, la storica rubrica de L'Espresso nata negli anni '80 e curata prima da Giorgio Bocca e poi da Roberto Saviano. Michela Murgia è la prima donna a curare questa rubrica.
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